Mi preme dire una cosa sulla questione dei licei che si vantano di non avere poveri o disabili nelle classi. Leggendo mi è parsa immediatamente falsa e tendenziosa un’affermazione, la più grave di tutte : la didattica migliora se non si hanno in classe alunni bes (bisogni educativi speciali). In realtà nelle classi è totalmente necessaria la presenza di studenti con funzionamenti non consueti proprio perché la didattica migliora e di parecchio. Non vanno ” tollerati” in virtù di un pietismo o bontà o ideologia, gli alunni diversamente abili o con disturbi della condotta o neoarrivati in Italia sono il tesoro della scuola italiana.
In materia legislativa sull’inclusione, qua, anche se non sembra, siamo avanti anni luce rispetto a qualsiasi altra nazione. Siamo talmente tanto avanti che la normativa supera il tasso di consapevolezza della gente, nel senso che la legge è nata dopo le rivoluzioni degli anni 70 e grazie al lavoro di alcuni maestri che hanno sfasciato- ogni giorno in classe- ciò che i vecchi sistemi prevedevano.
La storia della legge italiana sull’inclusione è stupenda, non riassumibile in poche parole, ma é talmente bella da essere straziante. Racchiude ogni senso e significato dell’insegnamento. E non è teoria. È pratica quotidiana che ha salvato parecchi bambini.
Non ce la toglieranno, sia chiaro.
Dicevamo: la didattica migliora avendo in classe alunni con svantaggio o con disabilità. Come?
Ogni singolo argomento deve essere alla portata di tutti. Deve essere compreso da tutti. Deve essere fatto proprio. Ognuno deve arrivare secondo le proprie potenzialità e quelle potenzialità sono enormi anche quando hai una carta in mano che ti certifica una disabilita intellettiva grave. Non è miracolo o fiducia: è il semplice funzionamento umano della mente.
Un mio ex alunno, con sindrome genetica rara e q.i. di un bambino di due anni, era sì impossibilitato alla comprensione logica delle materie così come presentate , ma era anche fuori dalla norma riguardo l’area affettiva relazionale.
Doveva andare a scuola e frequentare la classe 3? Sì. Perché seguiva un suo programma agganciato, per quanto si poteva, alle materie. Si, perché la classe dove stava godeva di un clima sereno e pacato difficilmente riscontrabile in altre terze. Lui, con il suo avvicinarsi dando carezze ai compagni quando erano tristi, lui, con le sue scarpe slacciate allacciate dai compagni, creava calma ed equilibrio. Era la colonna portante, pur camminando a stento. Gli impazienti con lui dovevano ritrovare serenità. Lui era più bravo di qualsiasi insegnante ad insegnare agli amici come si lavora in gruppo.
Io, il preside, gli altri abbiamo fatto molti colloqui per bloccare la scelta della neuropsichiatra di mandarlo in una scuola speciale. Noi abbiamo bisogno di lui.
E l’altro mio alunno super asperger ? L’ altro giorno non riusciva a comprendere la differenza tra nomi astratti e concreti. Secondo lui ” maglione” era astratto solo perché non lo aveva sotto mano. Mi ha costretta a bloccare tutta la mia bella lezioncina, ha ribaltato ogni ordine possibile e scardinato qualsiasi tipo di lezione frontale: siamo finiti a gruppi, abbiamo creato delle scatoline, abbiamo tutti pensato a quale tipo di gioco inventare per far capire a lui la differenza. Intanto, gli altri bambini capivano. Chi ha beneficiato del suo sviluppo non neurotipico? Noi. Tutti.
La scuola vive di diversità. In un luogo senza diversità non è possibile l’apprendimento.
E riguardo i poveri, gli svantaggiati socio-culturali, come si dice in gergo, ricordo questa frase. L’ ho inserita nell’ultima slide del mio concorso: ” Il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo quando l’ avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la può avere solo un povero che è stato a scuola”.
Insegnanti dei licei per bene: andate a sciacquare i panni a Barbiana.

Francesca Kovalski

dal blog chi fa rima con me

Grazie per averci permesso di pubblicarlo!!!!