Per chi ancora non si fosse reso conto della situazione della scuola e dell’università italiane, ecco l’analisi del prof. Nuccio Ordine contenuta nel suo libro “L’utilità dell’inutile” (Bompiani):

 

Il disimpegno dello Stato.

(…) vorrei soffermarmi sugli effetti catastrofici che la logica del profitto ha prodotto nel mondo dell’insegnamento. M. Nussbaum, nel suo bel libro “Non per profitto” ci ha recentemente fornito un eloquente ritratto di questo progressivo degrado. Nel corso dell’ultimo decennio (…) le riforme e i continui tagli di risorse finanziarie hanno funestato- soprattutto in Italia- la scuola e l’università. In maniera progressiva, ma molto preoccupante, lo Stato ha avviato un processo di disimpegno economico dal mondo dell’istruzione e della ricerca di base. Un processo che ha determinato, in parallelo, anche la LICEALIZZAZIONE delle università. Si tratta di una rivoluzione copernicana che nei prossimi anni muterà radicalmente il ruolo dei professori e la qualità dell’insegnamento.

Quasi tutti i paesi europei sembrano essere orientati verso un abbassamento dei livelli di difficoltà per consentire agli studenti di superare gli esami con maggiore facilità nel tentativo (illusorio) di risolvere il problema dei fuori corso. Per far laureare gli studenti nei tempi stabiliti dalla legge e per rendere più GRADEVOLE l’apprendimento non si chiedono dei sacrifici in più ma, al contrario, si cerca di allettarli con la perversa riduzione progressiva dei programmi e con la trasformazione delle lezioni in un gioco interattivo superficiale, basato anche su proiezioni di slides e somministrazioni di questionari a risposta multipla.

Ma c’è di più. In Italia, dove il problema dei fuori corso assume dimensioni preoccupanti, le università che raggiungono l’obiettivo di laureare uno studente negli anni previsti dalla legge vengono premiate con finanziamenti ad hoc. Gli atenei che, invece, non rispettano i protocolli ministeriali subiscono sanzioni. Così se mille studenti si iscrivono nell’anno 2012, mille laureati dovranno essere licenziati alla fine del triennio. Aspirazione nobile e legittima se ai legislatori, oltre alla QUANTITAS, stesse a cuore la QUALITAS. Purtroppo, però, rinunciando a valutare con quali reali competenze i neolaureati concludono il loro ciclo di studi, il meccanismo in atto si trasforma in uno stratagemma che spinge le  università – sempre più impegnate, per penuria di fondi, nella spregiudicata ricerca di sovvenzioni – a fare l’impossibile per sfornare laureati.

 

Gli studenti-clienti.

Gli studenti, come ha sottolineato S. Leys in una lezione sulla decadenza del mondo universitario, in alcuni atenei canadesi vengono ormai considerati CLIENTI. Lo stesso risultato emerge anche da un’accurata indagine condotta sul funzionamento di una delle più importanti università private del mondo. A Harvard, come riferisce E. Jaffelin su “Le Monde” del 28 maggio 2012, le relazioni tra professori e studenti sembrano essere sostanzialmente fondate su una sorta di CLIENTELISMO: ” Pagando molto cara la sua iscrizione a  Harvard, lo studente non si aspetta solo che il suo professore sia dotto, competente e valido: si aspetta che sia sottomesso, poiché il cliente è re”. (…)

I soldi, infatti, che gli iscritti versano nelle casse universitarie occupano un posto di primo piano nei bilanci predisposti dai rettori e dai consigli d’amministrazione. E questo dato comincia a essere molto importante anche negli atenei statali, dove si cerca di attirare gli studenti con ogni mezzo, fino a promuovere, come accade per le automobili e per i prodotti alimentari, vere e proprie campagne pubblicitarie. LE UNIVERSITA’, PURTROPPO, VENDONO DIPLOMI E LAUREE. E li vendono, soprattutto, sull’aspetto professionalizzante, offrendo cioè ai giovani corsi e specializzazioni con la promessa di ottenere lavori immediati e redditi allettanti.

 

Le università-aziende e i professori-burocrati.

Istituti secondari e atenei, insomma, sono stati trasformati in aziende. Niente da eccepire, se la logica aziendalistica si limitasse a eliminare gli sprechi e a mettere sotto accusa le gestioni allegre dei bilanci pubblici. Ma, all’interno di questa nuova visione, il compito ideale dei PRESIDI  e RETTORI sembrerebbe essere soprattutto quello di produrre diplomati e laureati da immettere nel mondo del mercato. Spogliati dei loro panni abituali  di docenti e forzati a indossare quelli di manager, sono costretti a far quadrare i conti nel tentativo di rendere competitive le imprese che governano.

Anche i professori si trasformano sempre più in modesti burocrati al servizio della gestione commerciale delle aziende universitarie. Passano le loro giornate a riempire dossier, a fare calcoli, a produrre rapporti per (talvolta inutili) statistiche, a cercare di far quadrare i conti di bilanci sempre più magri, a rispondere a questionari, a PREPARARE PROGETTI per ottenere miseri sostegni, a interpretare circolari ministeriali confuse e contraddittorie.(…) Sembra che nessuno si preoccupi, come si dovrebbe, della qualità della ricerca e dell’insegnamento. Studiare (spesso si dimentica che un buon professore è soprattutto un instancabile STUDENTE) e preparare le lezioni diventano ormai un lusso da negoziare ogni giorno con le gerarchie universitarie. Non ci si rende più conto che separando completamente la ricerca dall’insegnamento si finisce per ridurre i corsi a una superficiale manualistica ripetizione dell’esistente.

LE SCUOLE E LE UNIVERSITA’ NON POSSONO ESSERE GESTITE COME AZIENDE. Contrariamente a ciò che pretendono di insegnarci le leggi dominanti del mercato e del commercio, l’essenza della cultura si fonda esclusivamente sulla GRATUITA’: la grande tradizione delle accademie europee e di antiche istituzioni come il College de  France (…) ci ricorda che LO STUDIO E’ INNANZITUTTO ACQUISIZIONE DI CONOSCENZE CHE, LIBERE DA OGNI VINCOLO UTILITARISTICO, CI FANNO CRESCERE E RENDERE AUTONOMI. E proprio l’esperienza dell’apparentemente inutile e l’acquisizione di un bene non immediatamente quantificabile si rivelano INVESTIMENTI i cui PROFITTI vedranno la luce nella LONGUE DUREE.

Sarebbe assurdo mettere in discussione l’importanza della preparazione professionale negli obiettivi delle scuole e delle università. Ma il compito dell’insegnamento può essere veramente ridotto a formare medici, ingegneri o avvocati? Privilegiare esclusivamente la professionalizzazione degli studenti, significa perdere di vista la dimensione universale della funzione educativa dell’istruzione: nessun mestiere potrebbe essere esercitato in maniera consapevole se le competenze tecniche che richiede non siano subordinate a una formazione culturale più vasta, in grado di incoraggiare i discenti a coltivare autonomamente il loro spirito e a lasciare libero corso alla loro CURIOSITAS. Far coincidere l’essere umano esclusivamente con la sua professione sarebbe un errore gravissimo: in qualsiasi uomo c’è qualcosa di  essenziale che va molto al di là del suo stesso MESTIERE. Senza questa dimensione pedagogica, completamente lontana da ogni forma di utilitarismo, sarebbe ben difficile, per il futuro, continuare a immaginare cittadini responsabili, capaci di abbandonare i propri egoismi per abbracciare il bene comune, per esprimere solidarietà, per difendere la tolleranza, per rivendicare la libertà, per proteggere la natura, per sostenere la giustizia….

(…) Ai membri dei governi europei bisognerebbe imporre la lettura di un appassionato discorso tenuto da V. Hugo nell’Assemblea costituente. Pronunciato il 10 novembre 1848, sembra formulato ieri.. Molte delle obiezioni avanzate dal celebre scrittore francese sono ancora oggi di schiacciante attualità. Di fronte alla proposta dei ministri di tagliare i finanziamenti alla cultura, il romanziere mostra con grande persuasività che si tratta di una scelta dannosa e del tutto inefficace:

 

“Io dico, signori, che le riduzioni proposte sul bilancio speciale delle scienze, delle lettere e delle arti sono negative per due motivi. Sono insignificanti dal punto di vista finanziario e dannose da tutti gli altri punti di vista. Insignificanti da un punto di vista finanziario. Questo è di una tale evidenza che provo imbarazzo nel sottoporre il risultato di un calcolo proporzionale che ho fatto. (…) Che pensereste, signori, di un privato che, avendo 1500 franchi di rendita, dedicasse ogni anno alla propria cultura intellettuale (…) una somma assolutamente modesta, 5 franchi, e che, in un giorno di rinnovamento, decidesse di economizzare sulla propria cultura 5 centesimi? (p. 35)”

 

Un ridicolo risparmio per lo Stato che però si rivela letale per la vita di biblioteche, musei, archivi nazionali, conservatori, scuole e tante altre istituzioni. (…)

Ma l’errore ancora più grande è che il rigore della spesa viene applicato nel momento sbagliato, in cui il paese avrebbe bisogno, al contrario, di potenziare le attività culturali e l’istruzione pubblica:

 

” E quale momento viene scelto? E’ qui, a mio parere, l’errore politico grave che vi segnalavo all’inizio; quale momento viene scelto per mettere in dubbio tutte le istituzioni in un colpo solo? Il momento in cui sono più necessarie che mai, il momento in cui, anziché limitarle, bisognerebbe ampliarle e farle crescere (p. 39)”.

 

Proprio quando la crisi attanaglia una nazione è necessario raddoppiare i fondi destinati ai saperi e all’educazione dei giovani, per evitare che la società precipiti nel baratro dell’ignoranza:

 

“(…) qual è il grande pericolo della situazione attuale? L’ignoranza. L’ignoranza più ancora che la miseria. (…) E’ in un momento simile, davanti a un tale pericolo, che si pensa di attaccare, di mutilare, di spogliare tutte queste istituzioni che hanno come scopo preciso di perseguire, di combattere, di distruggere l’ignoranza! (pp. 39-40)”.

 

Per Hugo non basta provvedere “all’illuminazione della città” perché “la notte può scendere anche nel mondo morale” ( p. 40). Se si pensa esclusivamente alla vita materiale, chi provvederà ad accendere “le fiaccole per le menti?”:

 

” Ma se io voglio ardentemente, appassionatamente, il pane per l’operaio, il pane per il lavoratore, che è mio fratello, a fianco del pane per la vita, voglio il pane del pensiero, che è anche il pane della vita. Voglio moltiplicare il pane dello spirito come il pane del corpo (p. 41)”.

 

Spetta alla pubblica istruzione il delicato compito di distogliere l’uomo dalle miserie dell’utilitarismo ed educarlo all’amore per il disinteresse e per il bello ( “bisogna risollevare lo spirito dell’uomo, volgerlo verso Dio, verso la coscienza, verso il bello, il giusto e il vero, verso il disinteresse e verso ciò che è grande” pp. 42-43). Un obiettivo che per essere realizzato richiede scelte opposte a quelle adottate dai “precedenti governi” e dall’attuale “commissione delle finanze”:

 

(…) bisognerebbe moltiplicare le scuole, le cattedre, le biblioteche, i musei, i teatri, le librerie. Bisognerebbe moltiplicare i luoghi di studio per i bambini, i luoghi di lettura per uomini, tutte le organizzazioni, tutte le istituzioni in cui si medita, in cui si istruisce, in cui ci si raccoglie, in cui si impara qualcosa, in cui si diventa migliori; in una parola, bisognerebbe far entrare dovunque la luce nello spirito del popolo; perché è a causa delle tenebre che si perde (p. 43)”.

 

Hugo sferza una classe politica ottusa e miope che, credendo di risparmiare denaro, programma la dissoluzione culturale del paese, uccidendo ogni forma di eccellenza:

 

” Siete caduti in uno spiacevole errore; avete creduto di fare un’economia di denaro, è un’economia di gloria quella che fate(pp. 44-45)”.