Un paio di settimane fa mia figlia che frequenta la IIIG del Liceo Statale Virgilio, tra una cosa e l’altra, mi informa che da quest’anno con la riforma del ministro Giannini chiamata “La buona scuola” lei dovrà fare una specie di tirocinio per un totale di settanta ore nell’arco dell’anno accademico. Di questa cosa lei, e la sua classe, sono stati informati da due dei loro professori, che tra l’altro si mostrano scettici sulla fattibilità della cosa già in partenza. Possibile? E noi genitori non contiamo niente? Nessuno si sente in dovere di informarci o di chiederci la nostra opinione? Cerco sul sito del Virgilio e non trovo niente ma, cercando in internet, trovo due articoli: il primo uscito sulle pagine locali della La Repubblica di Milano

 

http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/09/20/news/tirocini_obbligatori_caccia_allo_stage-123322988/

 

il secondo su La Repubblica scritto da Corrado Zunino

 

http://www.repubblica.it/scuola/2015/10/07/news/decreto_alternanza_scuola_lavoro-124568358/

 

che confermano che tra i decreti attuativi della legge 107, detta “Buona Scuola”, c’è anche la disposizione dell’obbligo ai tirocini degli studenti dal terzo anno in poi: “Se lo studente è iscritto invece a un liceo, il tirocinio aziendale dura la metà: 200 ore per triennio. Il decreto si applica anche agli studenti-lavoratori in formazione professionale (formazione che in Italia spesso dipende dagli enti locali). Affinché il percorso sia considerato valido, ogni studente dovrà stare in azienda per tre quarti almeno del monte ore previsto”.

Dopo la riunione del Consiglio di Istituto del 13 ottobre mi arrivano su mia richiesta, in forma di PDF, copia della lettera del ministro Giannini che spiega cosa si intende per alternanza scuola/lavoro e quali sono le intenzioni di questa innovazione e poi ricevo anche la guida operativa per le scuole scritta dal ministero.

 

Sono molti gi aspetti di questa novità che mi lasciano a dir poco perplesso. Prima di tutto mi sembra impossibile che tutti i licei d’Italia, e tra questi anche il Virgilio che riguarda noi e i nostri figli, riescano ad organizzare 70 ore di tirocinio per ogni studente dal terzo anno in poi. Anche se quest’anno si parte con i soli studenti del terzo anno si parla di 500 000 studenti – 270 circa per il Virgilio -, così come ci informa il ministro. Ma “a regime” – parole testuali del ministro, come se stesse parlando di un’industria e non di studenti che frequentano una scuola -, saranno un milione e mezzo. Per mandarli dove? A fare cosa? A che condizione? Con il trasporto pagato? E saranno assicurati? Nell’articolo di Zunino trovo una parziale risposta leggendo: “Sì, i percorsi d’alternanza saranno parte integrante del percorso di studi e daranno diritto a una valutazione, una vera e propria integrazione del giudizio che sarà poi memorizzata nel curriculum dello studente. Chi farà l’alternanza avrà un’assicurazione Inps e una seconda per i danni causati a terzi, e dovrà sottoporsi a visite mediche. Due saranno i tutor, uno scelto dall’istituto scolastico e l’altro aziendale: entrambi alla fine del periodo stileranno un rapporto (che l’esaminato potrà leggere e, se in accordo, sottoscrivere). Gli studenti, d’altro canto, potranno esprimere una valutazione sull’efficacia e la coerenza del percorso con il proprio indirizzo di studio. Così la scuola”. Veramente? Vogliamo credere che una cosa del genere sia possibile in Italia? E pure le visite mediche? E cos’altro? E poi dove troveranno mai tutte queste imprese/aziende che saranno entusiaste di accogliere dei quindicenni/sedicenni nelle loro strutture per dover stargli appresso? L’aspetto organizzativo di tutta la questione mi sembra del tutto improbabile. Personalmente ho l’impressione che la scuola arranchi già così com’è e gli si vuole addossare un ulteriore immenso fardello. Non si finirà con il certificare cose mai fatte semplicemente perché necessarie per per prendere il diploma?

 

Ma cosa vogliamo che imparino i nostri figli? Io per mia figlia vorrei che acquisisse una cultura generale, una base di conoscenze, imparasse altre lingue che potranno essergli utili in futuro, vorrei che imparasse a co-esistere educatamente all’interno di una classe, nei confronti dei suoi docenti e che tutto ciò accadesse anche in un contesto sociale che la aiuti a crescere con il piacere di stare con gli altri. Soprattutto vorrei che la scuola la preparasse e la invogliasse ad ulteriori studi. Vorrei che la scuola facesse semplicemente la scuola. A quindici anni mi auguro che mi figlia abbia ancora molti anni in cui acquisire nuove conoscenze, per essere curiosa del mondo, che viaggi; molti anni tra liceo e università prima di doversi affacciare al difficilissimo mondo del lavoro. Non vedo nessuna necessità che questo le sia imposto per legge, dalla scuola a soli quindici anni. Il Ministro scrive nella sua lettera: “Un’esperienza significativa nei luoghi di lavoro – in un impresa, in una pubblica amministrazione o in un’istituzione culturale – è decisiva per trasmettere le competenze trasversali di cui i nostri ragazzi hanno sempre più bisogno”. Io non vorrei mai dover vedere mia figlia in un’impresa e ancor meno in una pubblica amministrazione, anzi questa è una cosa che proprio non sopporterei. In un’istituzione culturale già sarebbe un’altra cosa, perché se quello che ci proponessero fosse una forma di volontariato, un servizio sociale in aiuto agli altri, allora si che ne capirei anche lo scopo didattico, quella si che sarebbe una bella innovazione, ma non sembra proprio questo l’intento, che invece contraddice e nega quello che pretende esserne l’ispirazione. Nella prima parte della guida operativa per le scuole leggo:

“1. Orientamenti europei e quadro normativo nazionale

La diffusione di forme di apprendimento basato sul lavoro di alta qualità è al cuore delle più recenti indicazioni europee in materia di istruzione e formazione ed è uno dei pilastri della strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva (Comunicazione della

Commissione [COM (2010) 2020]) fin dal suo lancio nel 2010 e si è tradotta nel programma

“Istruzione e Formazione 2020” (2009/C119/02). Negli ultimi anni, la focalizzazione sulle priorità dell’istruzione e della formazione è ulteriormente cresciuta, anche per il pesante impatto

della crisi economica sull’occupazione giovanile. Poiché la domanda di abilità e competenze di

livello superiore nel 2020 si prevede crescerà ulteriormente, i sistemi di istruzione devono impegnarsi ad innalzare gli standard di qualità e il livello dei risultati di apprendimento per rispondere adeguatamente al bisogno di competenze e consentire ai giovani di inserirsi con successo nel mondo del lavoro”.

Gli orientamenti europei non ci stanno affatto dicendo che dobbiamo mandare i nostri adolescenti a lavorare ma al contrario stanno spingendo per una formazione dello studente sempre più specifica, qualificata ed approfondita in modo di poter stare al passo con il mondo che ci sta rapidamente crescendo intorno e superando in termini di qualità dell’apprendimento. E’ questo il significato di “lavoro di alta qualità”, bisogna studiare di più e meglio se si vuole essere competitivi nel mondo globalizzato. Togliendo settanta ore agli studi non aiuta certo a stare con i tempi. Credo che da parte del ministro e del ministero ci sia un fraintendimento: non hanno capito niente di quelle che sono le indicazioni europee. E se hanno capito allora non ci prendessero in giro. Ma allora perché far perdere tempo agli studenti con altro che non sia lo studio? Non ne vedo il motivo ma se proprio questi tirocini andranno fatti vorrei appellarmi a tutti i genitori perché aiutassero la scuola a trovare dei lavori culturalmente interessanti per i giovani del Virgilio.

 

Ma quello che in conclusione più mi infastidisce di tutta questa faccenda è che un ministro o un ministero non si renda conto di non avere il diritto di scegliere per gli altri. Nella cultura anglo-sassone, che io ho la fortuna di conoscere bene, spesso i ragazzi dai quattordici anni in su fanno dei piccoli lavoretti o dei periodi di lavoro l’estate per guadagnare un po’ di soldi. Lo si fa perché lo fanno gli altri, perché è una scelta etica, perché è utile imparare il valore dei soldi. In questa scelta spesso c’è anche la spinta dei genitori, una tradizione da rispettare o forse anche un atteggiamento in qualche modo tradizionalista che crede che i genitori debbano scegliere per i propri figli finché essi non sono maggiorenni. Ma io credo che la scelta di lavorare ha un valore veramente morale, importante, solo e se è una libera scelta di ogni ragazza o ragazzo. Non spetta alla scuola o a un ministro o ministero sostituire i genitori, togliere spazio al loro ruolo, e ancor meno negare il diritto di scelta ai ragazzi.

 

Roberto Caracciolo

 

Immagine: Alexander Rodchenko, Fire Escape, with a man, data sconosciuta