La scuola di Renzi spiegata a mio nonno
Di Gabriella Giudici

Domani, 15 novembre, si conclude la pseudo consultazione con la quale Renzi e il Ministro Giannini hanno preteso di ascoltare le proposte dei cittadini sulla scuola, opponendo il loro pessimo modello alle tante elaborazioni collettive preesistenti.
Personalmente, mi sono rifiutata di compilare un questionario pilotato che affidava a pochi spazi residuali la possibilità di esprimere un parere su questa oscenità. Ho preferito rispondere con losciopero di oggi e con un’attività di informazione verso i colleghi, precari, di ruolo ed ATA, e tutti quelli che pensano che la scuola li riguardi, semplicemente perché con essa tagliano la libertà e il diritto.
Infatti, a fronte dell’assunzione di metà dei precari oggi in servizio – peraltro imposta all’Italia dalla Corte di Giustizia europea (e speriamo sia la volta buona almeno per questa metà) -, la scuola di Renzi è un progetto di precarizzazione degli insegnanti: da cattedra a organico funzionale e viceversa, oltre che sulle tre fasce di merito (di cui l’ultima, quella del 33%, potrebbe coincidere con la messa in mobilità prevista dalla L. 150/2009-Brunetta), di gerarchizzazione delle relazioni scolastiche (Preside; Nucleo di valutazione; Mentor; docenti mediamente bravi; docenti scadenti) e di mobilità permanente: geografica (nelle scuole), e professionale (da cattedra o organico funzionale e probabilmente perfino su insegnamenti affini alle discipline per le quali siamo abilitati).
Se Renzi riuscisse a realizzare questo disegno, il lavoro dell’insegnante diverrebbe un mestiere itinerante, senza alcun rimborso delle spese di mobilità e a fronte di un aumento di stipendio di max 60 euro netti ogni tre anni; stipendio che per un insegnante laureato con otto anni di servizio non arriva a millecinquecento euro al mese. Diverrebbe un mestiere alienante in cui l’enorme lavoro sommerso che oggi svolgiamo per passione e per uno stipendio minimale (stimato in 42 ore settimanali), ci verrebbe imposto dietro il ricatto della mobilità, della perdita della cattedra e della gogna (il profilo di ogni insegnante è esplorabile dal sito della scuola e da quello del Ministero) .
Il motore di questa mobilitazione permanente dei docenti è una valutazione incentrata sui risultati dei test INVALSI (pertanto, come è dimostrato, non sulla qualità degli apprendimenti), sulla formazione permanente in servizio (con la quale possiamo immaginare l’apertura di un nuovo mercato dei corsi di formazione, “democraticamente” aperto anche ad eventuali “associazioni di insegnanti”, nel quale spenderemo in anticipo lo “scatto di merito” che ci prepareremo a conquistare) e su crediti professionaliacquisiti lavorando a scuola oltre le 18 ore di didattica frontale.
La scuola di Renzi è la scuola di Gelmini, Monti e Aprea con l’aggiunta dal faccione rassicurante di un Presidente del Consiglio a cui basta il proprio ridicolo inglese per fare notizia in tutto il mondo

GABRIELLA GIUDICI