Cara Chiara e cari componenti del Consiglio,

certamente credo sia giusto esprimere la propria visione, direi, anzi, che si debba; ogni contributo determina una crescita per chi lo esprime ma anche per chi lo ascolta che sia in assonanza o in dissonanza col suo pensiero.

Personalmente anch’io vorrei chiarire brevemente la base delle ragioni del mio impegno nella scuola avendo la sensazione che spesso ci si fraintenda finendo col rientrare in comodi ma spesso fuorvianti stereotipi, errore che anch’io ho commesso.

Riporto una sintesi del documento  del neonato gruppo di ricerca di cui faccio parte:

Alcuni sostengono che i nostri figli andrebbero lasciati liberi di decidere, di agire e anche di sbagliare, ritengono, insomma, fuori luogo o eccessivo l’interessamento di molti  genitori…ebbene siamo assolutamente d’accordo: è fondamentale che chi si affaccia alla vita possa accrescere la fiducia in se stesso cominciando a muoversi nel mondo secondo il suo discernimento.

Questo è vero in generale ma la scuola è una questione particolare, cominciamo col dire che sicuramente può esistere senza genitori, forse  perfino senza docenti ma assolutamente no senza studenti, per cui sono sicuramente loro il soggetto principe.

La scuola, però,  è di tutti, non riguarda solo le giovani generazioni e ha bisogno dell’interessamento di tutti perché non può perdere il sale di visioni diverse e critiche per non diventare uno sterile strumento d’inquadramento.

C’è infatti un rapporto biunivoco tra scuola e società che non può essere perso di vista: un determinato tipo di scuola produrrà nel tempo un determinato tipo di società e un determinato tipo di società  imposterà una scuola che la rappresenti e la perpetui. L’attuale  volontà di concentrazione del potere e di esclusione delle varie componenti dalle decisioni all’interno degli istituti ha lo scopo di impostare, senza essere disturbata da “inutili” discussioni, una scuola delle competenze dove formare i quadri, possibilmente molto allineati, di una società sempre più ottusamente convinta che esista un solo sistema di convivenza.

Questo mostruoso tentativo ossequiente a volontà sovranazionali viene agito con i grimaldelli della “comunicazione” allenata da decenni d’inganno nella palestra della pubblicità.  Il dramma è che alcune strategie penosamente banali, spesso basate solo sul linguaggio e, in generale, su una forma apparentemente aperta che vorrebbe nascondere una sostanza impositiva,  funzionano benissimo, con stupore, immagino, degli stessi estensori.

Molti di noi, pressati dalle crescenti complicazioni e difficoltà diffuse e preoccupati per il futuro dei figli, aderiscono a questa visione univoca. Visione che contempla principalmente, se non esclusivamente, il fattore economico… che servirà a  mantenere o ottenere  i mezzi per insonorizzare la propria coscienza ( siamo, bene o male, un paese dove i criteri di fondo cristiani si conservano, paradossalmente, sotto la coltre di altri  incompatibili con quelli ma di fatto accettati).

Emblematico l’esempio del “merito” chiamato a giustificare  socialmente e psicologicamente l’affossamento di fatto dell’altro da sé .

La “meritocrazia” con la sua apparente oggettività è diventata, così,  un principio accettato acriticamente da tutti.  Si trascurano, incredibilmente, gli innumerevoli esempi antitetici nell’assegnazione degli incarichi ,  non ci si pongono domande su chi, e a che titolo, debba decidere questo benedetto riconoscimento da dare ai bimbi buoni, sull’insidia della divisione tra gli occupati che tale criterio produce all’interno delle strutture, sul fatto che si privilegerà, sicuramente, la fedeltà e il conformismo e non le reali capacità umane e tecniche. Capacità che vengono considerate, da chi realmente decide le linee generali, come un inconveniente; non c’è da meravigliarsi della scelta di tanti personaggi politici imbarazzanti per ignoranza e inconsistenza in ruoli di controllo e decisione . Costoro,  si legheranno, infatti, con cieca fedeltà a chi, con loro stessa meraviglia, li ha scelti. Il loro agire non sarà indirizzato al miglioramento delle strutture nell’interesse della comunità ma all’ossessiva ricerca di azioni che appaiano funzionali agli obiettivi di chi li ha scelti.

In questa palude vivono  le nuove generazioni  stordite in aggiunta, da messaggi, più o meno camuffati, tesi a inculcare loro i criteri base su cui costruire in seguito il consenso al loro stesso inquadramento.

Siamo convinti che la libertà e l’autodeterminazione siano valori prioritari e irrinunciabili, di fronte ad essi tutto passa in secondo ordine  dalla “sicurezza” al benessere materiale  fino al “mercato” e oltre.

Riteniamo che il compito principale di ogni essere umano degno di tale definizione sia quello di adoperarsi per il loro effettivo raggiungimento per tutti.

Senza libertà, consapevolezza e autodeterminazione la vita  non è degna di essere vissuta  e, dato che le  basi di questi valori sono nella conoscenza,  consideriamo l’apprendimento il nodo centrale di ogni società democratica.

Abbiamo così deciso di dare un contributo, formando un gruppo di studio e invocando l’aiuto di tutti, ad una scuola che non voglia solo formare dei tecnici più o meno preparati come allevati in batteria e chiusi nel loro ambito, ma dei cittadini in grado di leggere, innanzitutto, la sostanza dei provvedimenti e di esercitare la propria sovranità.

Sosteniamo, come obiettivo a lungo termine,  un’impostazione generale che rimandi le specializzazioni alla fase universitaria e che miri, da subito, nello studio delle varie discipline, ad una consapevolezza di sé, del mondo e degli strumenti a nostra disposizione con una particolare attenzione allo sviluppo di una profonda capacità di lettura dei modi dei media.

La scelta che si pone è tra il lavorare per un’umanità futura divisa in una parte (apparentemente) privilegiata ingozzata in una “povertà dell’eccesso” e in una parte  sostanzialmente oppressa stretta in un “eccesso di povertà” o lavorare, invece,  con la visione di un’umanità futura con sempre meno sofferenze, nella divisione di compiti e risorse.

Un’ultima riflessione: ci è capitato di sentir dire che “la politica non deve entrare nelle scuole”, ma, a parte che questa è un’affermazione decisamente “politica” in quanto mira all’ accettazione cieca dell’esistente e al soffocamento delle voci discordanti, la scuola è essenzialmente una struttura politica perché contribuisce a creare i concetti di fondo su cui le giovani generazioni formeranno le loro convinzioni e per questo non può assolutamente non essere polifonica.

Da qui siamo partiti, continuiamo il lavoro_

Stefano Sinibaldi   (Gruppo Achirik )

Foto di André Kertesz