SEGNALI
Editoriale.

Sono anni che seguiamo le vicende della scuola dei nostri figli.  In questi anni  abbiamo
ricevuto dei segnali, in quanto genitori, professori, dirigenti,  ma siamo stati
distratti. Come se si fossero manifestati i sintomi di una malattia e ci fossimo
occupati  dei sintomi, e non del male.

La riflessione nasce da un articolo lucidissimo e spietato di una ragazza del Liceo, Alessia, pubblicato sul neonato giornale degli studenti del Virgilio,
Rumores. Vi invitiamo caldamente a leggerlo, si intitola “Dei delitti e delle
Penne”

Le sue parole valgono più di mille proteste ed occupazioni. Citando il filosofo
Galimberti, la ragazza scrive che la scuola “espelle tutte quelle dimensioni
che sfuggono alla calcolabilità, quindi: creatività, emozioni, desiderio,
piacere e dolori che costellano la crescita giovanile e che la scuola
volutamente trascura.”

“La scuola figlia della crisi economica è privata dei beni
necessari.  In essa è raro che i docenti si sentano particolarmente motivati.
Gli studenti non vengono a scuola  con l’intenzione di perdere tempo.

E ancora: “A cosa serve quindi un’istruzione che non aiuta lo studente a
ragionare in modo critico e profondo? L’amore che uno studente ha per una
materia, per un argomento o in generale per la scuola, non è solo frutto di una
sua naturale predisposizione, ma dell’amore con cui gli viene presentato.”

La ragazza ammette di rientrare nella fascia degli “intelligenti che non si
applicano, un modo carino di dire “sei limitata ma non posso dirtelo in questi
termini  (…)
La scuola mi ha sempre frenato, ogni volta che avevo storie da scrivere o
disegni da creare, per le prime avevo la costante paura di qualche “è” o “ha”
che mi sarebbero sfuggite, mentre per gli altri mi sentivo dire “da dove l’hai
copiato?”.

Questa lettera, e ci congratuliamo con Alessia, ci dice che il re è nudo. Che
forse le occupazioni vogliono dire qualcosa che ci ostiniamo a non cogliere,
mentre ci dibattiamo sull’inutile argomento della legalità.

Che le lezioni frontali, unica risorsa d’insegnamento, mostrano la corda: sono
ore e ore in cui una persona parla e altre persone ascoltano, in aule fatiscenti
e fredde, costringendo all’immobilità ragazzi e ragazze ormai abituati alla
velocità e alle connessioni, alla civiltà dell’immagine e al riflesso pronto dei
videogiochi, alla rete e al sapere diverso, alle narrazioni seriali delle
televisioni inglesi e americane, ai film anche impegnati delle cinematografie
europee e internazionali, alla musica, altro ufo della scuola, che spesso è
anche praticata solo al di fuori della scuola.

Che la fase della valutazione è puramente numerica e muscolare: si basa su prove
scritte, test e interrogazioni, che di gran lunga sorpassano in termini di ore
la trasmissione della cultura, dell’apprendimento, del sapere. Si passa il tempo
a misurare. Anni fa ci fu detto – me lo ricordo benissimo – che l’adozione del
pentamestre avrebbe incrementato le ore di insegnamento. Si sono moltiplicati
compiti e test.

Che il tema in classe è sorpassato: una sorta di componimento a metà tra il
saggio e il racconto, da scrivere in una lingua senza tempo, senza che nessuno
si sia mai occupato di insegnare la scrittura, gli stili, le retoriche, la
scrittura vera, quella che rende lo scrivere (e il leggere) un piacere.
Diciamolo una volta per tutte: il “tema in classe” è un ibrido del pensiero, è
un mostro burocratico che mai più praticheremo nella nostra vita. Tanto vale
insegnare come si fa un ricorso all’agenzia dell’entrate, o come si scrive ad un
ente pubblico o ad un fornitore di energia e telefonia per vedere riconosciute
le proprie ragioni.

Che bisogna dedicare più spazio all’educazione fisica: altrimenti le future
generazioni, e tutti noi possiamo toccare il problema con mano, saranno -come
sono- afflitte da patologie  invalidanti gli arti, la schiena, oberate
dall’obesità e dalle cattive abitudini posturali, tutte maturate a scuola sui
banchi di formica e ferro.

Che bisogna dedicarsi alla qualità della vita nella scuola, accettando l’idea
che il rinnovare i locali, ridipingerli, non può seguire le procedure
burocratiche amministrative “solite” e inconcludenti, ma che bisogna accettare
interventi e proposte innovative, e che le proposte ci sono e vengono
addirittura dalla municipalità, insospettabilmente complice nel risolvere il
problema.

Che bisogna abbandonare le argomentazioni della legalità e della sicurezza:
distolgono l’attenzione e costituiscono un alibi per non agire. Bisogna
riformulare questi termini: è legalità, è sicurezza assicurare condizioni di
vita decenti ai ragazzi nella scuola. Non sono termini astratti.

Anche noi, come Alessia,
“domandiamo a tutti voi, genitori, alunni, docenti e lavoratori: come pensate che un
ragazzo possa scoprire e conoscere l’amore per lo studio? Come pensate che
riesca a liberare la sua fantasia e le sue emozioni? Come pensate che possa
accettare senza paura la propria diversità nei confronti degli altri compagni?
Come pensate che non perda pomeriggi per gratificare un professore ma che lo
faccia per il proprio bene? Se le cose continueranno ad andare sempre in questo
modo nessuno lo capirà mai. Tutto può partire dalla consapevolezza di dover
smontare mattone dopo mattone e rimontare da capo.”

Grazie, Alessia.

Noitutti.

 (Foto di Mario De Biasi – Park Avenue, New York, 1964)