Le nostre sono considerazioni provvisorie. Dove sta andando la scuola? Si annunciano riforme. Ma negli ultimi dieci anni nel nostro paese la parola “riforma” ha significato veramente riformare le cose? Leggiamo dalla Treccani Riforma: Modificazione sostanziale, ma attuata con metodo non violento, di uno stato di cose, un’istituzione, un ordinamento, ecc., rispondente a varie necessità ma soprattutto a esigenze di rinnovamento e di adeguamento ai tempi, l’effetto, il risultato stesso di tale attività.

Durante il governo Berlusconi, regnante la Gelmini, è stata varata una riforma. Ora il governo Renzi ne annuncia un’altra. Quando pensiamo alla scuola e alla riforma, pensiamo alla riforma Gentile, cioè quella rifondazione della scuola pubblica che ha portato, grosso modo, all’attuale suddivisione, fatti salvi i dovuti ammodernamenti e cambiamenti. Pensiamo ai decreti delegati del 1973 e all’istituzione  della scuola partecipata.  Nel cinema pensiamo alla famosa legge 1213 che s’inventò il finanziamento alla produzione di film. Erano riforme che nel bene e nel male cambiavano le cose. Queste riforme, invece, a partire da quella sullo spettacolo, ed in particolare il teatro, sembrano più riforme della burocrazia, se vogliamo mantenere la parola riforma. Diremmo piuttosto: cambiamento di regole burocratiche.

Nel caso della scuola si porta a compimento un cammino iniziato dalla cosiddetta riforma della Gelmini, un cammino che si vorrebbe tecnologico ed efficientistico. Il dirigente che dirige senza lacci e lacciuoli. I docenti che vengono reclutati a chiamati in base al curriculum. La scuola che s’affaccia al mondo del lavoro. L’inglese onnipresente e salvifico.

Tutto questo ci suona come un dejà vu: ricordate le tre i di berlusconiana memoria? Inglese, impresa e informatica. Le conseguenze di tutto questo sono gli occhi di tutti. Molte scuole hanno presidi “decisionisti”, ma alla fine questo decisionismo si riduce a poco, e quel poco è spesso travisato. L’autorevolezza diventa autoritarismo, la decisionalità diventa arbitrio, al posto della condivisione c’è l’esclusione e s’inseguono miti d’efficienza, di eccellenza, di superiorità, che proprio non ci appartengono come cultura. Con la conseguenza di incrementare la dispersione scolastica. La nuova categoria di giovani Neet (Not in Education, Employment or Training) è una diretta conseguenza dell’ aspetto “selezionatore “ della scuola. Prendiamo in esame i sistemi di valutazione attuali: test, misurazioni quantitative del sapere, che andrebbero bene nella verifica di qualità della produzione dei bulloni, ma non hanno niente a che vedere col sapere umano e l’acquisizione di competenze.

Nessuno vuole impedire alla politica di sognare. Ma perché non prendere in considerazione le esperienze pratiche che vengono dalla comunità scolastica? Perché la politica non aiuta la scuola permettendole di agire? Facciamo un esempio. In più occasioni e non solo da noi, ma anche in altre scuole i genitori si sono offerti di intervenire non solo economicamente sulle strutture fatiscenti. Ridipingere, comprare arredi. Qualcuno c’è riuscito, qualcun altro no. Escono fuori i temi della responsabilità e della sicurezza – e spesso escono fuori perché fanno comodo. Alcuni si lanciano permettendo questo tipo di attività. Altri si trincerano dietro la cosiddetta legalità. Perché dunque non formulare delle regole che consentano di svolgere attività di questo tipo? Di tenere aperte le scuole il pomeriggio? Di ridipingerle? Di contribuire alla vita quotidiana della scuola? D’accordo, i problemi possono sembrare altri e ben più grandi. L’edilizia scolastica. L’assunzione dei precari, il miglioramento delle condizioni di lavoro dei docenti, la loro formazione, e così via..

Non c’è altra via all’innovazione di una scuola partecipata, dove tutti possono dare il proprio contributo a partire dagli studenti, che sono i primi portatori di innovazione.

Negli anni ’60 Joris Ivens diresse un documentario intitolandolo: “L’Italia non è un paese povero”.  Parafrasando quel titolo scriverei. “L’italia è un paese povero, ma ricco di inventiva

Perché non puntare su quello che abbiamo e non su quello che non possiamo avere?

noitutti

Immagine di Federico Hurtado.