Gli studenti Pierpaolo Cantisani e Francesco Migliore del Liceo classico Virgilio vincono il primo premio per la scrittura di  un articolo/tema/saggio nell’ambito del concorso promosso dal Ministero dell’Agricoltura per le scuole sul tema

ANALISI DELLA CRISI MIGRATORIA MEDITERRANEA: ESISTE UN SISTEMA DI ACCOGLIENZA IDEALE?

Bravi, ragazzi!

 

 

Siamo di fronte a una crisi umanitaria di dimensioni ormai globali, cui siamo tutti, irrimediabilmente, posti di fronte. Basta aprire un giornale, accendere una televisione o connettersi a un qualsiasi mezzo di comunicazione per essere bombardati di notizie informazioni immagini riguardanti la crisi migratoria che si sta estendendo a macchia d’olio, con una crescita esponenziale nell’area mediterranea, dove il numero di persone costrette a fuggire dalle guerre è aumentato di quasi 16 milioni solo tra il 2010 e il 2014 (fonte Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR). Oltre al peso che i mass-media esercitano su di noi, esiste anche un’esperienza diretta di relazione con quelle persone che chiamiamo profughi (termine generico per chiunque abbia lasciato il proprio paese d’origine costretto da guerre, invasioni, persecuzioni o catastrofi naturali). Ogni profugo ha una storia individuale, anche quando le masse enormi che si spostano dai paesi di provenienza paiono uniformarsi in una medesima condizione. Proprio per questo il diritto all’asilo, secondo la Convenzione di Ginevra e per la nostra Costituzione, all’articolo 10, è un diritto individuale. A me è capitato di conoscere alcuni di loro, come Safi, un profugo afghano incontrato durante uno spettacolo teatrale di Pippo Delbono, che lo ha accolto e protetto dopo la fuga, nella quale ha visto il suo migliore amico inghiottito dalle acque del mare, dal suo paese che non gli garantiva più la sicurezza. O come Yetunde, un ragazzo nigeriano arrivato in Italia ancora piccolo insieme alla madre, vittima di soprusi in famiglia, in quanto donna, e persecuzioni, in quanto cristiana, nel suo paese natale. Come questi molti altri intraprendono un viaggio di speranza verso l’UE, spinti da quella che è la crisi dell’area mediterranea, che abbraccia il mare nella sua parte sudorientale.

I profughi provengono da diversi paesi, ognuno con i propri problemi o la propria instabile situazione interni. In alcuni casi si tratta di vere  proprie guerre, in altri di persecuzioni sistematiche da parte dei regimi e in altre ancora di movimenti determinati da catastrofi climatiche e alimentari. In Siria, l’origine dell’esodo si può far coincidere con l’inizio della guerra civile, il 15 marzo del 2011, quando migliaia di persone avverse al regime oppressore del presidente Bashar al-Assad manifestarono nelle piazze delle due principali città siriane, Damasco e Aleppo. A ciò il governo rispose con una feroce repressione: furono arrestati torturati e uccisi tutti coloro che erano sospettati di far parte dell’opposizione. In pochi mesi nacquero formazioni militari in opposizione ad Assad, come il FSA (Free Syrian Army), ma anche gruppi militari fondamentalisti islamici legati ad al Qaida, come il “Fronte al Nusra”. In breve la guerra interna è degenerata, diventando il teatro della ferocia terroristica di Daesh (ISIS), il tristemente noto “Stato islamico”  autoproclamatosi nel 2014 e oggi maggiore minaccia terroristica mondiale sia per i territori dove agisce militarmente, sia per gli attentati terroristici che hanno visto centinaia di vittime (Parigi, Tunisi, Istanbul e purtroppo molti altri).

La crisi riguarda anche paesi non propriamente mediterranei, che rientrano però nel contesto mediterraneo a causa della direzione dei loro flussi migratori verso l’UE. Esempi sono l’Eritrea, a causa del regime repressivo, che opera sistematici rastrellamenti per un esercito dove la leva è “a vita”,e sono inviati sui tanti fronti di quelle “guerre dimenticate” di cui nessuno parla.

Oppure la Somalia, un vero e proprio esempio di stato fallito. Dal 1991 i diversi gruppi di opposizione portarono la nazione in uno status di continua guerra civile che sconvolse l’economia e la vita civile somala. Per quanto riguarda l’Africa sub-sahariana, la crisi che spinge i cittadini ad emigrare verso l’Europa è di carattere economico, ma sono presenti anche altri fenomeni, come la persecuzione religiosa o la tratta delle donne, in particolare quelle provenienti dalla Nigeria.

In conclusione si può dire di assistere ad una duplice crisi che riguarda le cause dei flussi migratori nell’area mediterranea, da una parte dovuta a guerre o persecuzioni e dall’altra dipendente da fattori economici. Nasce così, inoltre, la distinzione tra migranti forzati e migranti economici, anche se la complessità dei fenomeni e le loro connessioni rendono difficili distinzioni del genere. Importantissimo è poi considerare che tali crisi non sono neanche lontanamente vicine alla risoluzione. Inoltre, secondo le più recenti proiezioni delle Nazioni Unite, la popolazione africana (che oggi conta 1,2 miliardi di persone) è destinata a crescere fino a raggiungere nel 2050 le 2,5 miliardi di unità, con un aumento di oltre il 100% nell’arco di soli 35 anni. In mancanza di un adeguato sviluppo è dunque impensabile un abbattimento del numero delle persone costrette a scappare.

Da queste migrazioni forzate nasce, come conseguenza inevitabile, un’ingente numero di flussi migratori forzati, che secondo le ultime stime dell’UNHCR, coinvolgono oltre 60 milioni di persone, in continuo aumento. Uno degli effetti diretti della situazione geopolitica mediterranea attuale è quindi l’aumento delle richieste di asilo in Italia ed in tutta Europa, che peraltro non possono essere respinte a causa del principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra. Soltanto nell’ultimo anno le richieste di asilo in Germania sono aumentate del 110% e addirittura del 1144,4% in Ungheria; l’Italia invece rimane stabile con 59.165 richieste annue. Tuttavia un’altra grave conseguenza della crisi mediterranea è il corrispettivo aumento dei migranti irregolari, coloro che eludono i controlli doganali o rimangono in un paese dopo la scadenza del proprio visto nazionale. L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in breve FRONTEX, ha dichiarato che nel 2015 sono stati oltre 1,5 milioni gli ingressi irregolari, cinque volte di più rispetto ai 280 mila dell’anno precedente ed il numero più altro mai registrato in Europa occidentale e centrale dal 1990, anno della guerra nell’ex-Jugoslavia.

La principale meta di queste persone, è bene ricordarlo, sono comunque i paesi “in via di sviluppo” vicini alle zone di crisi. Difatti il principale paese di ricezione di persone in fuga è la Turchia, che conta 1,59 milioni di persone (o oltre due milioni a seconda delle diverse fonti), seguita dal Pakistan e Libano (paese di 6 milioni di abitanti con quasi il 22% di profughi!). I flussi dunque non sono solamente in direzione Sud-Nord, ma il fenomeno riguarda sopratutto gli spostamenti Sud-Sud. Ovviamente l’UE è rimasta una meta ambita per i profughi ma la strada per arrivarci è sempre più rischiosa. In generale, le nazionalità di chi scappa sono numerose ma la percentuale più ingente è rappresentato dai profughi siriani. Fin dall’inizio della guerra se ne possono contare 5 milioni, dei quali 2 milioni si sono diretti in Turchia, 1,5 in Libano, 1 in Giordania e i restanti in Unione Europea.

Fino a qualche tempo fa, ad esempio, la rotta Libia-Italia era prevalente, ma nel 2015 si è registrato una flessione. Oggi le rotte del Mediterraneo orientale (attraverso la Grecia) e dei Balcani occidentali (attraverso l’Ungheria) sono aumentate in maniera esponenziale, passando rispettivamente da 57.000 e 4.750 a 726.274 e 667.150 in soli quattro anni. Molto spesso, però , i paesi di arrivo non rappresentano la vera meta dei profughi, ma piuttosto snodi di passaggio verso la Germania e la Svezia, i due paesi più sviluppati nell’accoglienza profughi, tanto da aver subito dal 2008 al 2014 una variazione di domande di asilo del 652,7%(Germania) e del 226,9%(Svezia).

E’ soprattutto in questi due paesi che, durante il percorso delle richieste d’asilo, è particolarmente importante la nazionalità di provenienza dei profughi. I paesi europei possono essere infatti più o meno inclini ad accettare dei profughi se sono di una certa nazionalità piuttosto che di altra. Difatti se, secondo i dati Eurostat, in Svezia vengono accettate le richieste d’asilo del 99% dei siriani, sono accolti solo il 49% degli iracheni ed il 32% dei nigeriani. Per questo motivo, è in corso nelle istituzioni europee, una forte discussione su come procedere a una più efficiente procedura di identificazione, con l’introduzione degli “hot spot”, ovvero dei centri in Grecia e in Italia dove si possa con certezza identificare il richiedente asilo

Gli imponenti numeri non evidenziano le tragiche problematiche che comporta questo traffico. La nascita del traffico di esseri umani, che solo nel 2014 ha fatto entrare nelle casse dei trafficanti 3 miliardi di euro, è uno di questi, tanto da esserci stati ben 636 arresti solo in Italia nel 2015, spesso legati a vere e proprie organizzazioni criminali. I profughi vengono stipati in barche o in gommoni troppo piccoli, come delle bestie, e abbandonati quasi sempre prima di giungere effettivamente alla meta. Nelle loro condizioni di spostamento non sono rari naufragi o violenze da parte dei trafficanti, soprattutto verso i minori e le donne. Basti pensare recentemente alla strage avvenuta l’8 febbraio, nella quale 27 persone, tra le quali 11 bambini, sono stati trovati morti nel mar Egeo. O ancora quella del 28 gennaio nella quale hanno perso la vita 30 persone e quella dell’Aprile scorso che scosse l’Italia intera. Per queste povere persone il diritto alla vita è diventato ormai secondario e, cosa peggiore e scioccante, ormai viviamo in un’ indifferenza tale da venire a sapere di stragi di migranti tutti i giorni e non esserne minimamente influenzati. Ci avviciniamo sempre di più ad una visione “staliniana” nella quale «La morte di una persona è un lutto, un milione di morti statistica» . Il problema della sicurezza non è solo fisico ma anche psicologico. Spesso infatti quelle che arrivano sono persone torturate, vittime di shock post traumatici e prive di difese. In Italia è da segnalare l’esperienza positiva ma purtroppo conclusa in questo campo del NIRAST,una rete capillare di cliniche ed ambulatori che prevedeva la presa in carico dei richiedenti asilo vittime di violenze e torture fornendogli servizi specialistici.

Per tutti i problemi legati ai migranti, quindi, l’UE non è preparata a sufficienza, sebbene il tema sia ormai da tempo uno degli argomenti topici all’interno del parlamento europeo. Difatti nel maggio 2015 sono state divulgate le nuove linee guida sul tema dell’immigrazione, che tout-court prevedono la ripartizione dei migranti all’interno degli stati UE in base alle modalità delineate nel trattato di Dublino del 1990 ed aggiornato nel 2014 con il nome di “Dublino III”, il potenziamento delle operazioni di salvataggio “Triton” (per gli arrivi dalla Libia) e “Poseidon” (per quelli dalla Grecia), un’operazione contro le organizzazioni di trafficanti e numerose altre risoluzioni per i più diversi problemi. Sebbene le linee guida ci siano, però, l’Europa fatica ancora a muoversi I numerosi contrasti tra paesi europei stanno portando gli accordi europei in una posizione precaria: si è addirittura parlato di sciogliere il trattato di Schengen, che è il trattato che permette lo spostamento tra gli stati dell’UE senza l’uso del passaporto.

L’Italia ha un ruolo centrale , non come paese d’arrivo definitivo dei migranti, ma come prima tappa per essi; in quanto tale deve necessariamente essere garante di un sistema di primo sostentamento. Chi ottiene la protezione internazionale, che comprende sia lo status di rifugiato (destinato a colui che «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un gruppo sociale od opinione politica abbandona il proprio stato di cittadinanza») e lo status della protezione sussidiaria (dato a chi, pur non rispettando i parametri di rifugiato, in caso di rimpatrio nel paese natio sarebbe in pericolo a causa di conflitti armati), deve essere quindi accolto. Sono presenti in Italia con questo scopo vari enti di primo soccorso, come i CPSA (centri primo soccorso ed accoglienza) ed altri di prima accoglienza, i CDA (centri di accoglienza) e CARA (centri accoglienza richiedenti asilo). Sono inoltre attivi cinque CIE (Centri di identificazione ed espulsione), dove vengono trattenuti senza poter avere libertà di movimento le persone destinate all’espulsione. Per la seconda accoglienza la maggior parte, quasi il 73,3%, su circa 100 mila ospiti nelle varie strutture d’accoglienza in Italia, sono stati affidati ai CAS, i centri di accoglienza straordinaria che prevedono accordi tra le prefetture e associazioni o privati cittadini per la gestione di posti di accoglienza assegnati tramite dei bandi. L’aumento di questi è dovuto sopratutto alla loro facile gestione ed organizzazione ed anche al fatto che per i migranti in arrivo sono disponibili solamente 20 mila posti all’interno dello SPRAR, il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati.

Anche l’attesa per le richieste d’asilo è troppo lunga, e ciò comporta che i centri di permanenza temporanea si trasformino in centri permanenti, come sta succedendo con i CARA. Bisognerebbe anche pensare alla ridistribuzione dei richiedenti asilo in accordo con i Comuni, perciò è necessario incentivare il sistema SPRAR, sopratutto nei piccoli comuni italiani, promuovendo degli incentivi fiscali. Ma, a mio avviso, il problema principale è la mancanza di strategie e programmi per facilitare l’inserimento sociale ed economico nel “dopo accoglienza”. Mancano una strategia complessiva nazionale, nonostante molte esperienze fruttuose a livello locale (come l’esempio di Ercolano, dove i migranti hanno contribuito al mantenimento della pulizia cittadina o di Riace, che ha ripopolato zone abbandonate del paese) e delle misure specifiche per favorire questo percorso. In generale l’accoglienza nei confronti dei profughi nel “bel paese” non è completa. Dal punto di vista dell’accesso alle informazioni l’Italia è molto indietro rispetto alla maggioranza dei paesi europei. E mentre l’accesso all’istruzione è, conformemente al resto d’europa, obbligatorio fino ai 16 anni, le leggi d’accesso alle cure sanitarie ed al mondo del lavoro non sono delle migliori. Nel primo caso in Italia si tratta di cure gratuite, ma con scarsità di accesso alle informazioni sanitarie; per quanto riguarda il lavoro, invece, i profughi possono lavorare dopo 6 mesi dalla domanda di asilo se questa non è stata ancora accettata, contro i 3 mesi della Germania e i pochi giorni dell’Ungheria, sebbene con un limite massimo di 80 ore mensili.

Il sistema di accoglienza italiano può, e deve, di conseguenza migliorare. Un’idea potrebbe essere di scegliere tra i migliori sistemi di accoglienza dei paesi europei le pratiche più efficaci nei confronti dei principali criteri di accoglienza, quali, per esempio, i campi citati in precedenza. Si tratterebbe di una soluzione che ricalca (con le dovute proporzioni) la proposta di Castiglione nel Cortigiano per risolvere la questione linguistica: prendere il meglio di tutte le opzioni esistenti andando a creare un nuovo sistema. Il paese che presenta le migliori condizioni di accoglienza è sicuramente la Svezia. Sono infatti presenti 180 centri di accoglienza gestiti dal governo (contro i 14 italiani ed i 21 tedeschi), che garantiscono un immediato accesso al mondo del lavoro, che garantisce anche un investimento per l’economia nazionale. Va ricordato però, che questo avviene perché è l’unico tra i paesi europei con più richieste d’asilo a non essere in una situazione di sovraffollamento, a causa delle difficili procedure per entrarci. Riguardo il problema della distribuzioni sul territorio il sistema tedesco sembra essere quello più appropriato, complice anche il fatto che la Germania è una repubblica federale. Esso prevede difatti la distribuzione degli immigrati su tutto il territorio nazionale, obbligando la presenza di almeno un centro di accoglienza per stato federale. La Francia si distingue invece per il migliore sistema sanitario, mettendo a disposizione sia l’ AME, Assistenza Medica dello Stato, che un’assicurazione sanitaria universale, il CMU, mentre l’Inghilterra è il paese più avanzato per la divulgazioni delle informazioni generali, grazie anche alla maggiore diffusione dell’inglese tra i richiedenti asilo. Ci sono anche esempi da non seguire, come testimonia il grave caso danese, dove si è deciso di sequestrare i beni ai migranti o il caso ungherese, che ci ha mostrato muri e barriere che, dentro l’ Europa, non avremmo mai voluto vedere.

Infine va appoggiata ed incentivata l’idea di creare  legami di cooperazione con i paesi di transito dei flussi migratori e di assistere le situazioni economiche dei loro paesi di origine, iniziative che fanno parte di un processo di risoluzione a lungo termine. Perché in definitiva è vero che l’Europa deve continuare a ricercare le migliori soluzioni per arginare il problema dei migranti nell’ area mediterranea, ma lo deve fare senza dimenticarsi che possiede una propria identità e civiltà, fondata sul rispetto dei diritti umani, e che per contrastare il fenomeno non si deve partire dall’ultimo anello della catena, i migranti, bensì dal primo, i paesi d’origine di essi, estirpando dalle radici le cause del loro malessere: povertà crisi e guerre.

Pierpaolo Cantisani e Francesco Migliore ( Liceo classico Virgilio classe IV E)

Prof. Maria Marra