Prima di tutto ci chiediamo perché questo gruppo di genitori in cerca di chiarimenti non venga, come hanno fatto tantissimi altri in questi giorni, a parlare direttamente con gli studenti che vivono la mobilitazione ogni giorno, ci chiediamo perché non vengano a guardare con i loro occhi i “terroristi” che ogni mattina alle 7:00 in punto sono in piedi per pulire la scuola, che lavorano ventiquattro ore su ventiquattro all’interno dell’istituto per costruire un percorso politico, che seguono incontri e corsi sui temi più svariati e che si collegano ad un contesto cittadino e nazionale di lotte e rivendicazioni.
In secondo luogo ci chiediamo perché non sia quella parte degli studenti contraria ad esprimere il proprio dissenso o il proprio disagio ma siano i loro genitori. Parte del nostro percorso si incentra, infatti, sul ritenerci degni di pensare, degni di decidere e di divenire soggetti di noi stessi. In quanto giovani, in quanto studenti che vivono la scuola e, essendone i fruitori, dovremmo essere coinvolti attivamente nella gestione degli spazi e dei servizi che offre.

L’occupazione non è un atto legale e chi sceglie di proporla sceglie anche di costruirla in percorsi diversi da quelli istituzionalizzati, gerarchici e predefiniti che l’istituto già prevede. Da anni le discussioni riguardo eventuali mobilitazioni si svolgono in collettivi tenuti dentro e fuori scuola, organizzati dal basso, dove tutti sono chiamati a partecipare. In questi spazi di riunione sono state invitate anche quelle persone identificate generalmente come potenziali contrari, ovvero quelle che gli anni passati hanno espresso l’idea di preferire autogestioni o cogestioni ad un’occupazione, ebbene queste persone hanno scelto di non presentarsi, né di partecipare attivamente alla decisione quando interpellati dai propri compagni durante le lezioni o la ricreazione. Questi collettivi mirano a presentare un’ipotesi condivisa di mobilitazione ma la ratifica della decisione è affidata ad un’assemblea straordinaria, accessibile a tutti, tenuta in cortile, dove, ancora una volta, nessuno studente fermamente contrario ha voluto prendere parola.
I picchetti fanno parte di un’azione consapevolmente portata avanti in maniera illegale ma sono ovviamente picchetti “persuasivi”, previsti dalla legge, e non coercitivi. Parecchi testimoni potranno sicuramente riportare di aver visto persone accompagnate all’uscita dagli “occupanti” perché ideologicamente contrarie, per impegni fuori scuola o per malessere.
Le barricate sono invece una forma di tutela per la struttura dell’istituto: è necessario limitare lo spazio percorribile in modo di poter avere un controllo maggiore ed evitare situazioni di pericolo. Inoltre, i piani che ospitano i laboratori, la presidenza, la biblioteca e la segreteria sono stati resi inaccessibili per garantirne la tutela.
L’occupazione potrà definirsi mero rituale stereotipato quando non sarà più possibile identificare dei motivi validi a livello politico, o quando non saranno presenti conquiste da perseguire all’interno dell’istituto. E’ annuale ? Serve che lo sia. Abbiamo bisogno di costruire movimenti larghi a livello cittadino e nazionale, coordinandoci con le altre scuole, individuando il periodo dell’anno scolastico più funzionale e meno dannoso per le componenti e i ritmi della scuola.
L’occupazione di quest’anno non è neanche decontestualizzata ma nasce da esigenze interne alla scuola e da percorsi politici esterni ad essa come lo sciopero generale del 12 Dicembre a cui il collettivo del Virgilio ha deciso di aderire per contestare le riforme del governo Renzi dal Jobs Act alla Buona Scuola che influiscono sul nostro futuro ostruendone l’immaginario.
E’ proprio grazie all’individuazione precisa delle esigenze interne alla scuola che non si tratta di una semplice “alzata di testa” della durata di 10 giorni. Richiederemo modifiche del regolamento d’Istituto che rendano possibile un dialogo reale fra la componente studentesca, i docenti e la dirigenza, uno spazio dove riunirci, e la possibilità di accogliere proposte e richieste emerse all’interno della mobilitazione.
Ribadiamo che un tipo di dialogo e confronto con la dirigenza è stato tentato a lungo, senza alcun risultato.
Riguardo i viaggi d’istruzione, è scelta della dirigenza annullarli insieme agli scambi culturali. Essi sono parte integrante della formazione dello studente e non intaccano il monte ore. La minaccia di limitare tali esperienze nasce da un intento punitivo e non da una necessità reale. Riteniamo comunque che una mobilitazione di questa portata sia più formativa sotto tutti gli ambiti (umano, politico, culturale) rispetto a viaggi di istruzione che vengono considerati vacanze accordate anziché indispensabili percorsi di formazione.
Questi viaggi non sono, inoltre, grandi agevolazioni per i non “benestanti”: hanno costi altissimi per i quali molti sono costretti a rinunciare e sono organizzati attraverso appalti affatto trasparenti.
Se molti di noi portano avanti questa protesta è proprio per contestare le riforme politiche che creano i reali disagi economici e sociali a danno degli studenti quanto dei professori.
L’incapacità della scuola pubblica di assistere efficacemente uno studente nel suo percorso didattico non deriva da una settimana o poco più di mobilitazione ma da anni di politiche di tagli e austerità che ne hanno svilito il ruolo e limitato le potenzialità.
Il bisogno di ripetizioni private che colmino una lacuna causata da precisi modelli politici e pedagogici si affianca al finanziamento delle scuole private e all’entrata di fondi da privati nella scuola. Non sarebbe forse una soluzione migliore mettere a disposizione un’ aula studio pomeridiana in cui organizzare corsi di recupero collettivi, anziché accanirsi su chi tenta di rifiutare “il privato” in virtù del “pubblico”? Anziché cercare un nemico interno per eludere una riflessione più ampia e di certo più faticosa?

Per quanto soggetti (non primari) allo svilimento della scuola pubblica, i docenti non hanno mai cercato una linea politica condivisa.
Nonostante questo, siamo sempre stati pronti ad accogliere chiunque voglia sostenere la nostra protesta o costruire insieme altri percorsi di lotta e dibattito. Non a caso le nostre contestazioni non si limitano alla riflessione sulla condizione dello studente ma si espandono fino ad analizzare la condizione del lavoratore, dal giovane precario all’insegnante.

Quello che ci hanno sempre insegnato è studiare e rispettare la storia perché parte del presente, perché strumento per interpretare l’odierno. I tempi sono cambiati, le problematiche restano.