Frammenti di un discorso odioso.

 

« Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla. »
(Roland Barthes, Come è fatto questo libro in Frammenti di un discorso amoroso)

 

 

 

I fatti. «Al liceo Virgilio di Roma nella mattinata di martedì 22 marzo due agenti in borghese entrano nel cortile all’ora di ricreazione per una serie di controlli: cercano dei ragazzi che spacciano. Portano via cinque studenti e poi li lasciano andare, tutti tranne uno, maggiorenne, che viene arrestato.

Subito si crea un’assemblea spontanea nel cortile di scuola, gli studenti chiedono conto del blitz alla preside, che però si barrica dentro la vicepresidenza, e ne esce solo scortata dai carabinieri. Intanto davanti alla scuola arrivano diverse camionette delle forze dell’ordine e gli uomini della Digos.

Il giorno dopo molti studenti per reazione a quella che considerano un’esagerata esibizione punitiva organizzano un corteo che dovrebbe partire dalla sede del liceo e sfilare per le vie del quartiere. La manifestazione viene però bloccata da due blindati a pochi metri da via Giulia: quando i ragazzi decidono di tornare a scuola, la preside Irene Baldriga non li accoglie. Allora alcuni vanno verso piazzale Clodio e mettono su un presidio per aspettare il loro compagno che dovrebbe essere rilasciato a momenti. Nel frattempo la preside ha indetto un’assemblea a scuola per confrontarsi con i pochi studenti entrati a scuola.

Presenti, poco dopo l’intervento degli agenti, alcuni genitori che chiedono a un insegnante di attuare un’opera di mediazione con gli studenti in assemblea. I genitori stessi si propongono di parlare con i ragazzi e le ragazze ma solo dopo aver capito, parlando con la Dirigente, quale sia la cosa migliore da fare per calmare gli animi.

La dirigente non riceve né i ragazzi né i genitori. Sentendosi assediata chiama dunque la Digos che arriva davanti a scuola, ma nel frattempo suona la campanella delle 13,00 e tutti iniziano ad andarsene.

 

L’episodio di contestazione non rimane isolato, alcuni studenti il giorno dopo decidono di manifestare, ma vengono bloccati mentre chi è a scuola partecipa a una assemblea convocata dalla dirigente che spiega l’accaduto. Non viene rivolta alcuna minaccia, nessuno giura vendetta, promette rappresaglia: molto semplicemente qualcuno chiede che la preside venga allontanata.

E allora quando si inizia a parlare di eversione, genitori istigatori, studenti senza rispetto delle istituzioni e soprattutto quando si inizia a parlare di una comunità malata nella quale gli adulti, permissivi, vip, di sinistra, intellettuali, spalleggerebbero figli che si sentono fuori dalle regole della comunità civile e democratica?

E’ una bella domanda. E vale la pena cercare di rispondere perché i meccanismi di mistificazione della realtà operano in modo esemplare in questa che in fondo è una piccola storia ignobile nella forma ma anche nella sostanza.

Fra il 23 e il 25 marzo escono alcuni articoli sulla stampa, piuttosto descrittivi salvo uno che segnala la presenza a scuola di Scientology.

Ancora ci si interroga sull’accaduto, su Internazionale Christian Raimo si domanda se: «l’uso di certe sostanze è tanto diffuso tra i ragazzi, siamo sicuri che criminalizzarli sia il disincentivo giusto? E siamo sicuri di non esporli in questo modo ai rischi ben maggiori di un uso non consapevole, spinto continuamente nella clandestinità? Per fortuna la scuola rimane un luogo dove alle crisi di questo tipo si può dare il tempo giusto per un confronto, lasciando aperte le domande più che provando a chiuderle in fretta per paura di non sembrare abbastanza risoluti».

 

Nessuno in realtà affronta negli articoli alcuni problemi interni alla scuola che invece iniziano ad emergere dalle discussioni fra i genitori ma che la stampa volutamente ignora come la tolleranza verso il fumo in cortile e nei corridoi di professori e studenti, e l’impossibilità di avere una comunicazione sana scuola famiglia data anche la mancanza del registro elettronico, tutte questioni solo apparentemente scollegate alla questione dello spaccio, in realtà elementi visibili di un modus operandi.

In questo clima di confronto serrato giunge il 25 marzo quando Radio 24 intervista la Dirigente che afferma che per una minoranza di studenti e di genitori, evidentemente, la scuola deve godere di uno statuto di impunità assoluta.

Il meccanismo di trasmissione delle idee fra genitori e figli è messo sotto accusa: nessuno si interroga sui motivi per cui i genitori sono a scuola. No. Viene dato per scontato che siano lì per spalleggiare gli studenti, e non, come scrive una mamma, perché preoccupati di quello che sta accadendo. C’è una lacuna educativa, dicono i giornalisti, e la dirigente rincara: c’è un conflitto fra scuola e famiglie.

Ma perché, incalzano i giornalisti, cosa dicono i genitori?. Considerando che la preside non li ha ricevuti la risposta più onesta sarebbe: non loso.

Invece risponde: «vige una convinzione di iper garantismo, insomma la scuola come luogo extraterritoriale. Viene da domandarsi dove abbia potuto farsi questa idea», e infatti risponde lei stessa: è come durante l’occupazione, ma il paragone è assolutamente fuorviante, e soprattutto mette in luce la totale incapacità di rispondere alla domanda posta.

Cosa dicono i genitori? I comunicati di Francesca Valenza del Consiglio di Istituto o di Roberto Caracciolo, presidente del Comitato dei genitori sono tutto fuorché un invito alla ribellione e all’ extraterritorialità. Ma tant’è… essere ragionevoli non fa notizia. E allora andiamo avanti con l’intervista a Radio 24: il momento nel quale si tocca davvero il fondo è quando i conduttori della trasmissione citano un articolo di Libero, uscito il giorno stesso, nel quale, dicono i conduttori, si accusano i genitori di essere i mandanti dello spaccio. In realtà l’articolo in questione, pur ponendo duramente il problema del rapporto genitori figli, («i viziati non sono i figli, ma i genitori. I primi sono, semmai, depredati del necessario confronto con il principio d’autorità. Da sfidare, da contrastare, perché questa è la storia del mondo, ma pur sempre da assorbire, per poi riprodurlo. Il contrario del principio d’autorità non è quello di libertà (che si conquista sfidandolo), ma d’incapacità a distinguere il buono dal cattivo, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto»), non parla mai di mandanti. Ma i giornalisti ormai si sono affezionati a questo concetto e pure la preside che non si dissocia, non si indigna di fronte a una accusa così diffamante e grave, ma anzi risponde: «beh io devo dire sono sconcertata, ci sono degli interessi esterni molto forti che io definirei eversivi».

«Eversivi, sì avete sentito bene. agg. [der. del lat. eversus, part. pass. di evertĕre (v. eversione)]. –  1. Che mira ad abolire, a sopprimere: le leggi e. dell’asse ecclesiastico (v. eversione, n. 2).  2. Che tende a rovesciare, a sconvolgere l’assetto sociale e statale, anche mediante atti rivoluzionari o terroristici: azione, attività e.; disegno e.; anche riferito a chi opera per l’eversione: elementi, gruppi eversivi».

I genitori che non condividono il suo operato sono mandanti dello spaccio ed eversori.

Così ecco come, mediaticamente, viene inventato un mostro. Ma il mostro non ha senso se parallelamente non si crea pure una vittima, e così eccoci al passo successivo di questa appassionante genealogia di balle.

Il 25 marzo, in una lettera aperta, alcuni insegnanti del Virgilio, scrivono: «ancora una volta, in molti si preferisce gettare discredito sulle Istituzioni scolastiche, con una evidente azione di manipolazione dei fatti. È a dir poco sorprendente, infatti, che genitori in primis, alcuni organi di stampa e politici in seconda istanza, anziché affiancare la scuola, distolgano l’attenzione in modo strumentale, con l’unico fine e la disonesta consapevolezza di screditare i Dirigenti Scolastici, il nostro Dirigente Scolastico e tutti i docenti che la stimano, come capo d’Istituto e come persona».

Eccolo qua il momento di svolta: genitori e studenti non solo non capirebbero la gravità del fenomeno droghe a scuola ma anzi lo userebbero in modo strumentale al solo scopo di screditare il Dirigente scolastico.

Da qui in poi il dado è tratto: dimenticate tutto quello che è successo perché il punto diventerà difendere l’operato della preside, sotto attacco anzi minacciata.

Ma soprattutto dimenticare la domanda iniziale: come si è arrivati a questo? Avremmo potuto evitarlo? Avremmo potuto fare più e meglio?

In primo luogo dai genitori, cattivi maestri….

I genitori non affiancano la scuola. Ma è così? Dove sta scritto che contestare l’operato di un individuo equivalga a mettere in discussione il ruolo che lo stesso svolge, o peggio addirittura l’Istituzione che esso rappresenta?

Forse, fra tutte le tristi conseguenze di questo blitz, la più triste è questa: l’aver messo in luce come ormai, dopo venti anni di berlusconismo e “lasciatemi lavorare”, nessuno sia più in grado di gestire in modo dialettico l’altrui pensiero. Questa sì una sconfitta per le istituzioni, una logica davvero prepolitica se per politica intendiamo quell’agire per la polis nell’interesse di tutti. Gli unici genitori buoni sono quelli che non si lamentano: «Sono molto orgogliosa che alcuni di loro abbiano partecipato – molti altri hanno ritenuto invece che la scuola sia addomesticabile secondo le proprie esigenze, quando invece è uno dei maggiori presidi di legalità e in quanto tale va rispettata» (qui)

Poiché al Virgilio ci sono invece genitori che «difendono sempre i figli, anche quando sbagliano, di strumentalizzarli e di voler dare un’immagine distruttiva della scuola». «Ci sono alcuni genitori che lo fanno di professione, “interventisti” a tempo pieno che usano la scuola per affermare le proprie idee»7 aprile Corriere (qui)

Le minacce

E così, velocemente, dal problema dei genitori mandanti e conniventi con chi si droga si passa all’invenzione mediatica della vittima: la contestazione diventa minaccia, al punto da mobilitare solidarietà.

Chissà cosa ne pensano i colleghi della dirigente Baldriga, non i 25 presenti al caffé di solidarietà (25 numero manzoniano, anche se la stampa si contraddice in termini di numeri e le foto pure), né quelli che le hanno confermato sostegno, gli altri, quelli in prima fila tutti i giorni nella battaglia per una scuola migliore. Ognuno di noi è stato per motivi diversi in scuole piene di problemi, dove però le biblioteche funzionano, i dirigenti organizzano attività culturali di altissimo profilo coinvolgendo studenti e affidando loro momenti di autogestione e didattica alternativa. Ecco, chissà cosa pensano loro del caffè solidale organizzato dall’ANP (Associazione Nazionale Presidi) giovedì 7 aprile alle 8.30, «caffè per Irene Baldriga, vittima di una contestazione da parte di alcuni allievi per l’arrivo dei carabinieri e l’arresto di uno studente spacciatore» (titolo Corriere del 7 aprile qui) «È stata violenza pura» ha detto la dirigente al Corriere della Sera. Perciò molti genitori, studenti, presidi e prof di altre scuole le manifesteranno solidarietà.

Lo stesso giorno l’ANP dirama una nota: (ANSA) – ROMA, 7 APR – «Il dato fornito proprio in queste ore dal Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, che riporta come il 19,4% degli intervistati ha assistito ad atti di bullismo a scuola e il 12,1% allo spaccio o al consumo di droga con punte del 14,5% nell’Italia centrale, dimostra come il preside di una scuola non puo’ rimanere immobile ne’ cedere alle regole“. E’ quanto dichiara Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi di Roma e Lazio in merito alla vicenda della preside del Liceo Virgilio di Roma che è stata minacciata per avere segnalato alle forze dell’ordine alcune vicende legate  allo spaccio di stupefacenti all’interno dell’istituto da lei diretto. (…) “La scuola – conclude Rusconi – non è una zona franca ma un luogo di formazione che educa i giovani e che dovrebbe vedere la collaborazione dei genitori e degli stessi ragazzi. Un luogo di condivisione di regole e di cultura» (ANSA). TZ 07-APR-16 17:14

Vedete come funziona? Si ribadisce che vi siano state delle minacce, si insinua che ci sia qualcuno che vorrebbe che la scuola fosse zona franca.

Ma nessuno ricorda più se queste minacce ci sono state davvero mentre tutti iniziano a pensare che se si insiste tanto sulla questione della “zona franca” deve essere perché qualcuno lo pensa.

Ma chi lo pensa? Forse i ragazzi che hanno scritto fuori le guardie dalla scuola? Possiamo affermare che loro pensino che la scuola è una zona franca dove non esiste la legge? Qualcuno ha parlato con loro in questo processo mediatico?

 

La solidarietà.

Così di fronte alla minacce si finisce per trasformare uno dei protagonisti di questa storia in una vittima (quando invece le vittime, delle droghe in primo luogo, sono proprio quei ragazzi che la scuola dovrebbe formare). «Una cinquantina di dirigenti scolastici di altrettanti istituti della capitale” (Corriere 7 aprile qui),  trenta direttori didattici»  (La Repubblica, 7 aprile qui), insomma un numero imprecisato di dirigenti manifesta in solidarietà della preside.

Repubblica scrive: «Tra i partecipanti al mini flash mob, anche alcuni genitori solidali con la preside Baldriga: “Sono molto orgogliosa che alcuni di loro abbiano partecipato- ha detto all’Agenzia Dire quest’ultima- molti altri hanno ritenuto invece che la scuola sia addomesticabile secondo le proprie esigenze, quando invece e’ uno dei maggiori presidi di legalita’ e in quanto tale va rispettata. Se non lo fanno i genitori, sarà difficile che possano farlo i figli, e la violenza che questa minoranza ha espresso in questo periodo deve essere motivo di riflessione. Sarebbe più comprensibile se episodi di questo tipo avvenissero in zone di particolare disagio, ma qui siamo in pieno centro di Roma, parliamo di studenti per la maggior parte benestanti, alcuni dei quali figli di personalità.»

Durante il caffè di solidarietà inoltre viene lanciato un appello: «Sono molto rammaricato- ha detto Rusconi- che non ci sia stata alcuna attenzione a livello istituzionale a questa vicenda. Non un comunicato di solidarietà da parte di nessuno, non una parola, ne’ un messaggio. Questo quando si spendono molti soldi pubblici per le campagne di prevenzione, e alla prima occasione ci si gira dall’altra parte».

E i comunicati, subito, arrivano……

Inizia Giovanardi: «I genitori e gli studenti che contestano la preside Irene Baldriga accusandola di aver creato un muro contro muro agevolando l’arresto di uno spacciatore, ricordano tanto quelli che nei quartieri più degradati di alcune città tentano di impedire a polizia e carabinieri di arrestare i delinquenti. La mia più sentita e sincera solidarietà a chi nelle scuole ha il coraggio di contrastare quel cancro che è lo spaccio della droga».

Segue Sammarco (NCD): «Non bisogna lasciare sola la preside del Virgilio Irene Baldriga, oggetto di attacchi da parte dei genitori solo per essersi schierata dalla parte della legalità. A questi signori dico che non esistono per i loro figli zone franche dove non arrivano le leggi dello Stato. Le forze dell’ordine stanno facendo un gran lavoro per la prevenzione dello spaccio, soprattutto tra i più giovani e dovrebbero essere coadiuvate da educatori e famiglie. Naturalmente continuerà il più duro contrasto contro  la droga e provvedimenti per chi la vende. I genitori si mettano l’animo in pace».

Scende in campo anche il “popolare” Dj Aniceto, «I genitori che hanno contestato quei poliziotti che hanno arrestato uno spacciatore nella scuola sono degli irresponsabili”».

Interviene anche il CONSAP, sindacato di polizia, che in una nota scrive: «La cancellazione della collaborazione fra cittadini e forze di polizia, la polizia di prossimità muore al Liceo VIRGILIO di Roma‘. (…) “L’esperienza professionale ci ha dimostrato che le proteste per l’arresto di un ‘mercante di morte’ – prosegue Innocenzi – spesso sono la reazione di persone che vivono nelle periferie degradate e abbandonate dallo stato, visto quello che stanno facendo ‘i genitori bene dei liceali del VIRGILIO’ sembra evidente che sta crescendo nell’opinione pubblica un pericoloso senso di insofferenza verso le regole e chi le fa rispettare, un sentire cui la parte sana del paese deve sapersi opporre”. “Siamo al paradosso la scuola non può essere considerata una zona franca, dove si può liberamente spacciare, ma un luogo sicuro dove deve essere insegnata ai ragazzi l’educazione alla salute e alla legalità».

A rincarare la dose Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia Alleanza Nazionale che chiama in causa direttamente il ministro Giannini. Leggete come: «La droga non solo imperversa nelle scuole italiane, già dalle medie, ma il circuito dello spaccio punta sulla scuola per aumentare la sua quota di mercato e i relativi profitti: iniziare un percorso di dipendenza dalle sostanze già da ragazzi è un’assicurazione per ingrassare il business per quando diverranno adulti. Il ministro dell’Istruzione è consapevole che in larga parte degli istituti italiani, nei bagni, nei corridoi, nei cortili, quando non direttamente in aula, la droga dilaga e gli studenti sono presi d’assedio e infiltrati da bande di spacciatori? Come ha pensato di contrastare questo fenomeno, sempre che non abbia deciso di andare con Renzi a distribuire marijuana davanti ai cancelli dei licei a sostegno delle tesi anti proibizioniste? E in che modo intende attrezzare i dirigenti scolastici e gli insegnanti di fronte a questo nuovo scenario ‘giamaicano’? Come intende tutelare i ragazzi e le famiglie in una situazione paradossale dove chi non fa uso di droga è una minoranza? A tutte queste domande il ‘ministro per caso’ Stefania Giannini, visto il silenzio vigliacco di queste ore, dovrà rispondere nel prossimo question time in diretta televisiva sulla Rai».

Ma la ciliegina sulla torta è il comunicato di Giorgia Meloni che mette in luce come, sulla pelle dei ragazzi e dei genitori del Liceo Virgilio sia iniziata la campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative di Roma. Vale la pena leggere tutto il suo comunicato: «Solidarietà alla preside del Liceo Virgilio di Roma. Combattere la pseudocultura della droga è un dovere di tutti ma soprattutto dei docenti. Giovani figli di papa’ spacciavano e sono stati arrestati dagli agenti di Polizia. Alcuni genitori invece di ringraziare hanno partecipato insieme a studenti e teppisti facinorosi al tentativo di linciaggio del dirigente scolastico. Nel centro di Roma non possono esistere zone franche di spaccio. La citta’ tutta deve essere al fianco di chi ha il coraggio di fare il proprio dovere. N.B. Comunque, cari ragazzi drogarsi non e’ un atto di ribellione: è sintomo di debolezza. Ditelo anche ai vostri genitori che non dovrebbero assecondare queste follie ma dovrebbero darvi una educazione».

La sospensione dell’incredulità può essere invece un buono strumento ermeneutico per leggere il comunicato di Alfio Marchini che la butta sul paternalistico: «Ai ragazzi del Virgilio e ai loro genitori voglio raccontare una storia vera. Uno dei miei figli ebbe un incidente e rimase in coma. Furono giorni tremendi. Poi si riprese e recuperò al 100%”. Lo racconta il candidato sindaco di Roma Alfio Marchini rivolgendosi agli studenti del liceo Virgilio di Roma. “In quei giorni terribili e nei mesi successivi, consultai tutti i più grandi luminari in materia. Ebbene tutti mi confermarono che se mio figlio fosse stato un consumatore di droghe anche leggere, quel recupero prodigioso sarebbe stato impossibile. Le droghe creano danni e noi genitori abbiamo l’obbligo di tutelare i nostri ragazzi senza se e senza ma».

A questo punto arrivano anche le parole di solidarietà del ministro Giannini mentre sul Corriere della Sera è all’autorevole penna di Adolfo Scotto Di Luzio che si affida un commento, dai toni pre-Barbiana, sull’importanza della gerarchia nella scuola come nella vita (e davvero alla fine ci si aspetta la proposta di ripristinare le classi differenziali e perché no, i ceci nell’angolo).

Eccone uno stralcio:

«Ciò che sta accadendo a Roma, in questi giorni, al liceo Virgilio, non riguarda semplicemente il consumo di hashish tra gli adolescenti, ma è in realtà una disputa sulla scuola pubblica e sul suo destino. Se cioè questa scuola debba rassegnarsi a sprofondare nella più totale disorganizzazione o se invece essa sia autorizzata a riaffermare il proprio diritto a orientare moralmente e intellettualmente i giovani.

A sentire certe madri fa più impressione il carabiniere che arresta lo spacciatore a scuola che lo spacciatore stesso preso a vendere hashish ai ragazzini durante l’ora di ricreazione.

(…) Ho detto educazione. Se si guarda bene è facile accorgersi che dietro la feroce opposizione al preside del Virgilio e alla sua decisione di chiamare i carabinieri agisce una convinzione più generale che si è largamente diffusa in questi ultimi vent’anni, l’idea cioè che la scuola pubblica, come istituzione laica affidata alle cure dello Stato, non abbia in fondo più niente da fare sul terreno della formazione delle giovani generazioni. Se lo Stato non vuole rinunciare a educare i suoi giovani non può non formare questi giovani sul terreno della disciplina. E la disciplina è sempre duplice, contemporaneamente regola e contenuto. Buona condotta per mezzo di un rigoroso abito della mente ben educata».

È questo allora il vero oggetto della disputa che la vicenda di Roma pone all’opinione pubblica italiana, se la scuola come istituzione nazionale possa ancora formare i suoi studenti o se invece debba rassegnarsi a diventare il teatro, sempre più degradato tra l’altro, di un democraticismo pedagogico inconcludente e avulso dalla realtà del Paese».

Con buona pace di un secolo di battaglie, riforme, e discussioni e modelli che da Mario Lodi arrivando a Remo Ceserani, immaginano che l’autorità senza autorevolezza e la didattica senza cultura non servano a niente se non a creare sudditi e non cittadini.

E allora, inventato il mostro e la vittima, e i mandanti e le trame eversive, vi ricordate come siamo finiti qui?

Il modello educativo. Scrive Roberto Ceccarelli su il manifesto del 25 marzo: «In un comunicato scritto in occasione di un caso simile in una scuola bolognese, il Forum Droghe e Antigone avevano descritto le conseguenze di questo modello proibizionista: “un esempio lampante  del fallimento del modello proibizionista: spreco di risorse, spettacolarizzazione della war on drugs, costante aumento del consumo di sostanze di stupefacenti soprattutto da parte dei più giovani ma non solo”. »

Sul caso del Virgilio è intervenuto Hassan Bassi segretario Forum Droghe: “Il problema del consumo fra i giovani di sostanze stupefacenti andrebbe affrontato all’interno di  un processo educativo di prevenzione che si basi sulla fiducia fra educatore e studenti. Creare un clima di controllo e punizione non può portare che a peggiorare la situazione. Per ogni ragazzo denunciato ce ne saranno 10 che si nasconderanno ancora di più e finiranno direttamente fra le braccia del mercato nero e del malaffare”. “L’alleanza tra “educare e punire” ha dimostrato nei decenni la sua pochezza (vedere gli andamenti dei consumi per credere). L’approccio deterrente, di reaganiana memoria (la Zero tolerance) ha avuto proprio negli USA, dove ha drenato milioni di dollari, la sua più radicale smentita” ha scritto Susanna Ronconi in un articolo su Fuori Luogo» .

 

Ma vedete: in meno di dieci giorni si è perso completamente di vista il problema, cioè il modo di prevenire e combattere la lotta agli stupefacenti a scuola ma anche fuori, per innescare una bagarre mediatica e politica dove davvero, come scrivevano i docenti del Virgilio il 25 marzo, si confonde la causa con l’effetto.

 

Dunque se avete avuto la pazienza di leggere tutto questo lungo resoconto, abbiatene ancora poca per condividere una riflessione. Non esiste alcun lassismo, né noncuranza, né trama eversiva né idea che la scuola pubblica abbia fallito il proprio progetto educativo ma esiste esattamente il contrario ovvero una grande fiducia nella scuola, nelle istituzioni, nel loro valore per la democrazia. Fiducia in quella parte delle forze dell’ordine che il giorno dell’arresto è venuta a scuola e ha serenamente risposto alle domande dei genitori presenti.

E fiducia verso la possibilità dei ragazzi di capire che hanno fatto una stupidaggine. Ragazzi chiamati spacciatori, mercanti di morte, criminalizzati prima di un processo o di una decisione qualsiasi del magistrato. A loro va la nostra solidarietà e speriamo aiuto, sorvegliare e punire non ha mai funzionato in tema di dipendenze. Non funzionerà neanche questa volta.

 

Un genitore del Virgilio