Per me che ho avuto la fortuna di seguirla per 8 anni per Repubblica, la scuola a Roma è stata anche e moltissimo Simonetta Salacone, che questa notte a 72 anni se ne è andata. Ferma, rigorosa, talvolta persino dura, generosa e appassionata, romana, laureata alla Sapienza, per 43 anni aveva lavorato nella scuola pubblica, prima come docente di scuola elementare, poi, per 21 anni, come direttrice didattica e, per i restanti 10 anni, come preside in una scuola della periferia romana. Aveva costruito pure la rete viva delle scuole di Roma Est, era iscritta alla Cgil e si era candidata anni fa con SeL. Il suo primo anno di insegnamento l’aveva passato a San Basilio, allora e oggi uno dei territori più difficili di Roma. “La classe dove insegnavo e io non volevo insegnare, sembrava un ring” diceva. A Centocelle era arrivata nell’81, quando l’istituto che avrebbe poi diretto, l’Iqbal Masih, non aveva un nome, era “solo” il 126esimo circolo didattico. Con lei è stato dedicato invece a quel ragazzino pachistano che si era ribellato allo sfruttamento lavorativo, ucciso ad appena 12 anni. E quel nome, Iqbal Masih, è diventato anche un simbolo del cambiamento di quella vecchia borgata e di quel municipio così ricco di migranti. “La scuola -diceva lei- fa di un quartiere un luogo di cultura e non più un non luogo. E mette in contatto le diverse realtà sociali”. La sua ultima battaglia scolastica è stata una rivolta, con un’occupazione, di insegnanti, genitori e bambini, contro l’abolizione del tempo pieno e i tagli all’istruzione che si sono tradotti in meno soldi, meno personale, meno istruzione. Era il 2008 e poi ancora il 2009 e il 2010, gli anni dell’Onda e dell’ultima grande contestazione dura, vasta, ampia e conflittuale in questo paese, gli anni de “la scuola dei bambini non fa rima con Gelmini”. “Mai la Scuola “azienda” , diretta da “consigli di amministrazione” e condizionata da impostazioni ideologiche predefinite sarà più libera della Scuola di tutti” scriveva prendendosela nel 2011 con un presidente del consiglio che considerava i docenti “inculcatori di idee”. Stimava e collaborava con centinaia di maestri ed educatori liberi e impegnati nell’insegnamento. Storceva il naso, e parecchio, davanti a “quelli, per fortuna rari, che nascondono le proprie idee dietro un comodo e pigro conformismo, o che, per piaggeria o per desiderio di carriera, si adeguano alle idee dell’autorità del momento o rispondono, come servi sciocchi, alle richieste delle famiglie che, poiché pagano, si assumono il ruolo di “datrici di lavoro””. Desiderava e costruiva una scuola aperta h24, una scuola dell’integrazione, e anche dopo averla lasciata nel settembre del 2010 per andare in pensione, aveva continuato a viverla e ad animarla con incontri e letture per studenti, genitori e cittadini. Tra i suoi sogni c’era quello di una città a misura di bambini e bambine, con una mobilità sostenibile, il gioco e la formazione al centro. “Un’idea fattibile” diceva. E tanto altro ancora. Mancherà.

VIOLA GIANNOLI