Cari genitori,

è con qualche perplessità che mi accingo a scrivere queste poche righe, poiché ritengo la modalità di comunicazione che stiamo utilizzando molto utile per alcune funzioni e assolutamente inadatta per altre.

Parlare dei nostri figli in modo organico, ragionato e non superficiale, richiederebbe un confronto diretto, umano, anche se tale modalità comporta necessariamente fatica e pazienza.

Purtroppo, per ragioni di lavoro, molto di rado riesco a partecipare alle riunioni che altri si assumono l’onere di organizzare e frequentare e per questo, con molta umiltà, provo a rappresentarvi il mio punto di vista nella forma presente.

Le questioni dell’occupazione e quelle collegate della legalità e della democrazia, sono di estremo rilievo e per questo devono essere affrontate con delicatezza ed attenzione, provando a partire non soltanto dal contesto scolastico, ma soprattutto da quello esterno, sociale, politico, economico.

Tranquilli, non sto “buttando la palla in tribuna”, cerco semplicemente di rappresentare le difficoltà nelle quali si cala la vita degli adolescenti di oggi, senza alcuna indulgenza e nessun giustificazionismo.

Gli anni ’70 che spesso sento citare, probabilmente non sono stati vissuti da tutti nella stessa maniera e dalla stessa parte. Quello che è certo è che quella stagione – con tutti i suoi limiti e criticità – ha rappresentato la conclusione di un processo assai fecondo che ha caratterizzato la nostra storia recente e l’avvio di un’altra, la cui china precipitosa ha condizionato pesantemente ed in modo indelebile l’attuale assetto sociale.

Lì stavamo alla prima repubblica, a conclusione di un ciclo economico favorevole, dove molte ed importanti sono state le conquiste e le battaglie: dallo Statuto dei Lavoratori al referendum sul divorzio, fino alla riforma sanitaria. Una fase acquisitiva, dunque, dove il processo redistributivo si è svolto a favore delle classi in fondo alla scala sociale.

Da allora è cominciata una fase alla rovescia, dove il deterioramento progressivo del ceto politico è stato accompagnato dalla definizione di una sorta di primazia della sfera economica, con il conseguente ritrarsi della presenza pubblica, tanto vituperata ed umiliata.

Cosa ha prodotto il libero dispiegarsi delle forze economiche credo che, oggi, sia sotto gli occhi di tutti; e pure quello che hanno prodotto i processi di privatizzazione di settori strategici del nostro Paese.

La drammatica crisi economica che viviamo non è stato un fatto naturale ed ineluttabile; le condizioni in cui versa il nostro sistema politico non sono degne della nostra storia; l’assunto che “se sei furbo farai strada”, che per venti anni ci è stato propinato, ha drammaticamente deteriorato il nostro tessuto culturale, prima che sociale.

Che impatto ritenete abbia avuto l’inchiesta “Mafia Capitale” (ma anche quelle su Expo, Mose, ecc.) sulle nuove generazioni? Che idea pensate si siano fatte della politica, del sistema economico, del diritto, della legalità? Quale percezione potranno avere del principio di democrazia?

Ripeto, senza alcuna indulgenza e nessun giustificazionismo.

Ma il contesto è quello che hanno di fronte. E in qualche caso anche dentro casa (intesa come scuola): abbiamo già rimosso quello che è accaduto lo scorso anno?

Ecco, proviamo a non rimuovere e a comprendere con onestà intellettuale se rispetto a quanto accaduto la scuola abbia svolto il proprio ruolo. Io credo di no. E devo dire anche il giudice che ha svolto le indagini.

Per riprendere il tema di Mafia Capitale, è come se noi continuassimo a guardare il dito che punta la Panda del sindaco e non mettessimo a fuoco la gravità e pervasività del sistema di corruzione svelato o, semplicemente, se pensassimo che quel problema si affronta e si risolve con gli inasprimenti di pena. Il problema è culturale innanzi tutto – come ci ricorda Gherardo Colombo – ed è quindi la scuola la leva centrale su cui investire e la sua capacità di produrre spiriti critici, in grado d’interpretare la difficile realtà che li circonda.

Molto umilmente, da questo partirei – ed anche da altro, per carità – per definire i concetti di partecipazione, democrazia, prevaricazione, violenza, lasciando agli stessi ragazzi la libertà di sbagliare.

Su una cosa però sono d’accordo, fra le varie che ho letto, e cioè che i ragazzi dovrebbero tutti autodenunciarsi. Io negli anni ’70 avrei fatto così, ma io non sono loro. E quando ero studente non avevo dei genitori così coinvolti nelle questione complessive della scuola. E forse è stato un bene.

 

Un cordiale saluto, Roberto Giordano