EUGENIO MONTALE

PIOVE

Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.

Piove
da un cielo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.

Piove sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c’è terremoto
né guerra.

Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia
e sulla greppia nazionale.

Piove sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.

Piove
in assenza di Ermione
se Dio vuole,
piove perché l’assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l’ha ordinato.

Piove sui nuovi epistèmi
del primate a due piedi,
sull’uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui works in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgòcciola
sulla pubblica opinione.

Piove, ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza e può affogare.

(da “Satura”, 1971)

.

Montale sostituisce alla lista da giardiniere di D’Annunzio una serie di momenti e di fatti e gesti che fanno parte della vita quotidiana del poeta e della nazione: lo sciopero generale, le tasse, la contestazione, le dispute teologiche sull’uomo che diventa Dio, il ricordo della moglie Drusilla Tanzi sepolta a San Felice a Ema. È un Montale compiaciuto di questo divertimento, tanto da ricordare egli stesso la favola di Ermione che appare nell’originale dannunziano ma anche dal lanciarsi apertamente nel calembour del gioco di parole tra “progresso” e “works in regress”, nella satira sui teologi in tuta. Grande anche nella parodia.